TRATTAMENTO ACQUE REFLUE E METEORICHE: FOSSE BIOLOGICHE
DEPURATORI, DISOLEATORI
DEGRASSATORI, SISTEMI INTEGRATI
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Impianti di prima pioggia

Impianti di prima pioggia

vasca-prima-pioggiaLe vasche di prima pioggia di nostra produzione e commercializzazione sono realizzate con l’impiego di vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato costruite e allestite su progettazione dello Studio di Progettazione che collabora strettamente con la nostra azienda.

In genere tali vasche vengono installate interrate e ricoperte con solai carrabili (più raramente pedonali) dotati di aperture di ispezione munite di chiusini in ghisa o cemento. Essendo realizzate a getto in soluzione monoblocco, tali manufatti forniscono la massima garanzia di tenuta idraulica e resistenza strutturale oltre che di lunga durata nel tempo.

NORMATIVE DI RIFERIMENTO

Le acque meteoriche di dilavamento e le acque di prima pioggia sono disciplinate dall’art. 113 della parte terza del D.Lgs. n. 152/2006. Al comma 3 è riportato: “Le regioni disciplinano i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”.

Le emanazioni in proposito delle varie regioni sono le più svariate: si preferisce non affrontarle in questo contesto ma esaminarle eventualmente di volta in volta. Ci soffermiamo ora sui principi generali, che risultano più o meno comuni alle varie norme e che vengono adottati come base di progettazione nella maggior parte dei casi.

Le acque di prima pioggia sono per definizione le prime acque meteoriche di dilavamento fino ad una certa altezza massima di precipitazione (tipicamente 5 mm), distribuiti sull’intera superficie scolante presa in considerazione e relativi ad ogni precipitazione preceduta da un intervallo di tempo “asciutto” (generalmente della durata di 48 ore). Tali acque trascinano per dilavamento le sostanze inquinanti presenti sulla superficie scolante e quindi devono essere anzitutto separate dalle successive (dette anche di “seconda pioggia” e considerate non inquinate dalla legislazione corrente) e successivamente trattate prima del loro scarico finale. Per superfici poco inquinate (strade, parcheggi, ecc.) viene in genere previsto un trattamento di sfangamento e disoleazione: è questo il caso più frequente nella pratica, ma non certo l’unico. Vi sono infatti casi di superfici più inquinate (come quelle adibite a depositi di rifiuti, scarti, prodotti di varia natura, ecc...) per i quali può risultare necessario il ricorso ad un trattamento più complesso e articolato, come ad esempio l’utilizzo di prodotti chimici.

In ogni caso, generalmente le varie norme concordano nell’applicare i limiti di emissione previsti per le acque reflue industriali alle acque di prima pioggia inquinate dal dilavamento di superfici adibite ad attività produttive.

Tutti gli impianti di prima pioggia di nostra produzione e fornitura sono configurati ed attrezzati in modo da ottemperare a tali principi, pur restando la possibilità di apportare modifiche strutturali, funzionali e progettuali nei casi in cui si debba venire incontro a specifiche disposizioni della normativa regionale o particolari esigenze della committenza.

GLI IMPIANTI

Render-prima-pioggiaNella versione a svuotamento programmato, le vasche di prima pioggia sono composte da uno o più bacini di accumulo delle acque di prima pioggia preceduto/i da un pozzetto la cui funzione è quella di operare la separazione dalle acque di seconda pioggia. L’impianto è equipaggiato con una pompa di svuotamento (o più di una, come nel caso di più vasche di accumulo) comandata da un quadro elettrico appositamente realizzato e programmato.

Il bacino di accumulo delle acque di prima pioggia è dimensionato in modo da avere una capacità tale da contenere tutta la quantità di acque meteoriche di dilavamento risultante dai primi 5 mm di pioggia (eccetto come detto diverse disposizioni valutabili da caso a caso) caduta sulla superficie scolante. A titolo di esempio, una vasca avente una capacità di (almeno) 50 m3, è in grado di accumulare le acque di prima pioggia che cadono su una superficie scolante di 10.000 m2.

Il pozzetto scolmatore è collegato (in ingresso) alla condotta di drenaggio principale delle acque meteoriche di dilavamento e (in uscita) sia alla condotta di scarico della seconda pioggia che alla tubazione di immissione nel bacino di accumulo della prima pioggia. Nella maggior parte dei casi lo scarico della seconda pioggia è separato dalle altre due tramite uno stramazzo la cui soglia determina il livello dell’acqua nel bacino di accumulo della prima pioggia. Adattando tale configurazione, quando il livello nel bacino raggiunge la soglia dello stramazzo (e ha quindi raccolto interamente le acque di prima pioggia), le successive acque meteoriche di dilavamento (considerate quindi di seconda pioggia e non inquinate) entranti nel pozzetto tracimano e defluiscono nella condotta di scarico diretto al corpo recettore.

Generalmente in corrispondenza della condotta di entrata nel pozzetto è installata una sonda rivelatrice di pioggia collegata al quadro elettrico. Tale sonda è costituita da un sensore ad elettrodi installato su una staffa che viene fissata al fondo delle condotta in corrispondenza dell’imbocco di ingresso al pozzetto separatore. Quando piove, sulla sonda scorre un velo d’acqua che chiude il collegamento elettrico fra gli elettrodi inviando un segnale al quadro che è in tal modo in grado di riconoscere i momenti in cui comincia e finisce l’evento meteorico. Analogamente è possibile adottare altre tipologie di rilevamento, come ad esempio sonde da esterno da installare all’aria aperta.

L’uso dello stramazzo per separare la prima pioggia dalla seconda è la soluzione più semplice ed economica ma comporta un consistente abbassamento della condotta di scarico della seconda pioggia rispetto a quella di entrata delle acque meteoriche di dilavamento. Questo a volte rende impossibile il recapito della seconda pioggia al corpo recettore poiché non si ha a disposizione il necessario dislivello. In questi casi, al posto della soglia di stramazzo, viene adottata una valvola di chiusura automatica a galleggiante all’imbocco della vasca di accumulo della prima pioggia. Questa valvola, generalmente realizzata in acciaio inossidabile, chiude la tubazione di collegamento con il pozzetto nel momento in cui l’acqua nel bacino raggiunge un prestabilito livello, cioè quando è stata accumulata tutta la prima pioggia.

filtro a coalescenza dotato di slitta di estrazione per la pulizia e la sostituzione del materiale filtrante

È buona norma progettuale installare la pompa di svuotamento del bacino di accumulo delle acque di prima pioggia (posta sul fondo della vasca) in un punto più lontano possibile da quello di ingresso e a valle di una soglia che la tiene al riparo dalla fanghiglia che viene inevitabilmente trascinata dal dilavamento della superficie. La pompa viene attivata automaticamente dal quadro elettrico sulla base del segnale della sonda rilevatrice di pioggia.

Quando la sonda segna la fine di un evento meteorico, il quadro avvia un contatore che dopo un certo tempo di attesa (le suddette 48 ore meno il tempo di svuotamento) attiva la pompa. Se durante il tempo di attesa si verifica un altro evento meteorico, il quadro deve azzerare il contatore per cui lo svuotamento del bacino viene operato sempre dopo 48 ore di tempo asciutto. Tale azzeramento deve avvenire ogni qualvolta si verifica un evento meteorico segnalato dalla sonda prima dello scadere del conteggio in quanto da un punto di vista normativo la superficie è considerata di nuovo “sporca” (cioè inquinata) solo ed esclusivamente dopo 48 ore di tempo asciutto.

Una volta attivata la pompa, parte un secondo contatore che si interrompe quando l’interruttore di livello (tipicamente un galleggiante) segnala il completo svuotamento del bacino. Se ciò non si verifica entro un prestabilito periodo di tempo, il quadro attiva un allarme acustico per avvertire l’operatore di un possibile malfunzionamento della pompa in quanto non è stato completato lo svuotamento entro tale tempo limite.

Nei casi di superfici scolanti di piccola entità e poco inquinate, il disoleatore (o in generale l’unità di trattamento delle acque di prima pioggia) può essere ricavato e allestito all’interno dello stesso manufatto contenente il bacino di accumulo della prima pioggia tramite un setto divisorio interno. In tal caso si può evitare l’impiego del pozzetto separatore e del quadro elettrico di controllo adottando le vasche di prima pioggia a svuotamento in continuo. Questo è operato dalla pompa di rilancio della prima pioggia tramite un semplice consenso dato dell’interruttore di livello. Al fine comunque di far operare l’impianto nel rispetto delle normative la pompa deve comunque essere è in grado di svuotare il bacino nelle 48 ore, in modo quindi da garantire il rilancio al trattamento di tutte le acque di prima pioggia. Qualora venga adottata tale tipologia di impianto nel caso (che generalmente è di gran lunga il più frequente) in cui la prima pioggia presenti le tipiche sostanze inquinanti derivanti da mezzi meccanici (olii e idrocarburi leggeri che cadono su strade e parcheggi) il comparto di trattamento è conformato e attrezzato come un disoleatore a coalescenza (separatore di classe I). Questo viene dimensionato in base alla norma UNI EN 858-1 con dimensione nominale sufficiente a garantire (alla portata di svuotamento) la rimozione dei solidi sospesi e degli olii contenuti nelle acque di prima pioggia entro i limiti previsti dal legislatore.

valvola di chiusura automatica a galleggiante - impianti prima pioggia climatec

In ingresso all’accumulo della prima pioggia deve essere adottata una valvola a galleggiante, collegata anche alla condotta di scarico della seconda pioggia. La valvola, solitamente realizzata in acciaio inossidabile, è costruita in modo tale da occludere l’accesso al bacino nel caso in cui questo sia pieno (ed abbia quindi accumulato almeno tutta la prima pioggia) e convogliando le successive acque meteoriche (che sono pertanto acque di seconda pioggia) direttamente nella condotta di scarico.

Rispetto alle vasche di prima pioggia a svuotamento programmato, quelle a svuotamento in continuo presentano lo svantaggio di trattare anche una parte, seppur minima, delle acque di seconda pioggia. In compenso, l’impianto presenta un costo inferiore in quanto la fornitura non comprende il quadro elettrico di controllo e la sonda di rilevamento pioggia che, nel caso di superfici scolanti di piccola entità, hanno una incidenza di costo maggiore.

IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE DI PRIMA PIOGGIA

Come detto, il trattamento a cui devono essere sottoposte le acque di prima pioggia dipende dalla natura e dalla entità delle sostanze inquinanti che troviamo e che vengono dilavate sulla superficie scolante.

Per superfici poco inquinate (strade adibite a transito veicolare, parcheggi, ecc...) le vasche di prima pioggia vengono abbinate ad un impianto di separazione dei liquidi leggeri (olii e idrocarburi) che provvede alla rimozione dei solidi (sfangamento) e delle sospensioni oleose (disoleazione) che vengono trascinate dalle acque di prima pioggia nella loro azione di dilavamento.

I disoleatori adottati sono separatori di classe I (separazione a coalescenza), regolati dalla norma UNI EN 858-1,2. Questi devono essere realizzati in conformità con i principi di progettazione e le procedure di prova stabiliti da tale normativa tecnica.

I disoleatori sono realizzati con l’impiego di vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato divise tramite un setto in due comparti di cui il primo (sedimentatore) è preposto alla separazione e all’accumulo dei solidi più pesanti (fanghiglia, sabbia, ecc…) mentre il secondo (separatore) provvede a trattenere e ad accumulare le sospensioni oleose (benzine, olio motore, ecc.). L’uscita del separatore deve essere equipaggiata con un filtro a coalescenza, che provvede a rimuovere dall’acqua le particelle oleose più piccole che sfuggono alla separazione per gravità. Queste infatti venendo trascinate dal flusso per essere poi trattenute dal filtro stesso.

impianto compatto con svuotamento continuo

La dimensione nominale (o “nominal size”, NS) dei disoleatori impiegati è garantita dal costruttore in ottemperanza delle prescrizioni della UNI EN 858-1. La scelta del disoleatore abbinato alle vasche di prima pioggia va effettuata con l’ausilio delle indicazioni riportate dalla norma UNI EN 858-2. Questa lega la dimensione nominale del separatore alla portata dell’acqua in ingresso la quale a sua volta è pari alla portata di svuotamento del bacino di accumulo delle acque di prima pioggia.

Nel caso di superfici scolanti particolarmente contaminate (quali ad esempio i depositi di prodotti di risulta da lavorazioni, depositi e stoccaggi di rifiuti, stabilimenti per la produzione di materiali altamente inquinanti come la calce e/o il cemento, ecc…) può essere necessario ricorrere ad un trattamento chimico-fisico delle acque di prima pioggia.

Tipicamente la tecnica della depurazione cimico-fisica consente di rimuovere le sostanze contaminanti di natura sospesa e colloidale tramite un procedimento suddiviso in due fasi successive: nella prima (flocculazione) il liquame viene miscelato con additivi chimici che provocano l’aggregazione in fiocchi dei contaminanti, nella seconda (chiarificazione) i fiocchi vengono separati per gravità e rimossi sotto forma di fango (che presenta un certo grado di umidità) da sottoporre a successiva disidratazione.

La flocculazione si effettua mediante l’uso contemporaneo di tre tipi di additivi chimici: un correttore del pH, un coagulante primario e un coagulante secondario (o ausiliario).

Il correttore del pH ha la funzione di ricondurre il pH nel campo dei valori ottimali che facilitano l’azione del coagulante ausiliario che in genere è prossimo alla neutralità. Solitamente si impiega un acido forte o una base forte che neutralizza l’acidità o l’alcalinità iniziale e l’azione acidificante del coagulante primario.

Il coagulante primario ha la funzione di far aggregare in piccoli fiocchi le sostanze inquinanti presenti nel liquame sotto forma di particelle colloidali. I reagenti impiegati sono sali di metalli trivalenti che liberano gli ioni positivi dei metalli: questi interagiscono quindi con le cariche elettriche superficiali negative delle particelle colloidali annullando le forze elettrostatiche. Una volta scariche, le particelle si raggruppano in coaguli che vengono meccanicamente inglobati nei fiocchi risultanti dalla precipitazione dell’idrossido metallico.

Il coagulante ausiliario ha la funzione di agglomerare i fiocchi risultanti dalla coagulazione primaria (che presentano ancora dimensioni troppo esigue per applicare una loro separazione meccanica) e i solidi sospesi originariamente contenuti nel liquame in fiocchi più grandi e quindi agevolmente separabili dall’acqua chiarificata. Le sostanze impiegate a tal fine sono polimeri organici di sintesi (polielettroliti) le cui molteplici catene molecolari hanno la capacità di formare legami di natura elettrica e meccanica fra i corpuscoli presenti nel liquame. I polielettroliti sono classificati a seconda del segno della carica elettrica delle loro molecole (anionici a carica negativa, non ionici e cationici a carica positiva) e a seconda dell’entità di tale carica (deboli, medi e forti).

Gli additivi sono dosati da una stazione costituita dai serbatoi di contenimento delle soluzioni dei reagenti e dalle relative pompe dosatrici: quest’ultime sono del tipo volumetriche a portata variabile e in generale sono comandate dal funzionamento della pompa di svuotamento del bacino di accumulo, eccetto la pompa dosatrice del correttore del pH, la quale opera in base al segnale dato da un pHmetro la cui sonda di misurazione è posta nei pozzetti di flocculazione. In virtù di questo accorgimento gli additivi chimici vengono inoculati solo in presenza di alimentazione a monte e in base alla sua portata.

In uscita dal processo di flocculazione, la miscela di acqua e fiocchi di fango in sospensione si immette nel bacino di sedimentazione, costituito da una vasca monoblocco prefabbricata in cemento armato vibrato (tipicamente a pianta quadrata) con una tramoggia di fondo.  La vasca è equipaggiata con i dispositivi tipici dei sedimentatori statici a flusso ascensionale: condotta di ingresso, deflettore cilindrico, canaletta di sfioro, condotta di scarico dell’acqua chiarificata. Sul fondo viene quindi installata una pompa sommersa per l’estrazione dei fanghi sedimentati. Il sedimentatore separa per gravità i fiocchi presenti nella miscela i quali si depositano sulla tramoggia di fondo del bacino mentre l’acqua chiarificata tracima nella canaletta di sfioro da cui defluisce nella condotta di scarico dell’acqua depurata.

Il fango sedimentato viene periodicamente estratto dal fondo della tramoggia tramite la pompa che provvede a inviarlo in un bacino di accumulo dove col tempo tende ad ispessirsi sul fondo. Periodicamente, tale fango ispessito deve essere spurgato e conferito ad un centro di trattamento o disidratato sul posto.

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